Cinque errori

Cinque errori

Il MoVimento 5 Stelle dalle origini a Palazzo Chigi, cosa è cambiato e cosa sembra non tornare.

In un ottimo articolo della rivista “Foreign Affaris”, che potete trovare qui, si parla di un nuovo tipo di dittatura: la personalizzazione della politica e del suo sistema. Il tema in realtà è all’ordine del giorno in quasi qualunque paese. Ci si è cominciato a chiedere se è corretto che un capo dello stato possa essere contemporaneamente Segretario del partito del quale fa parte e altre questioni del genere. La personalizzazione della politica, che più precisamente chiamerei presidenzializzazione del sistema politico, non è un fattore nuovo. Anzi, semmai è una delle risposte che la politica cerca di dare rispetto alla confusione che si fa tra legittimazione, rapporto con gli elettori, accontability e altre cose noiose da politologi. D’altronde, se un individuo riesce a vincere tutte le elezioni per le quali si candida, che siano quelle nazionali, primarie o altre, perché dovremmo porci il problema? Se vi sarà “un uomo unico al comando” lo avranno scelto i cittadini, almeno. Democrazia vuol dire anche questo, prendersi la responsabilità delle proprie scelte. La politica è questione di responsabilità, da qui, appunto, i capisaldi di accountability e responsiveness. Ma è davvero così? In Italia da 10 anni un attore politico (inizialmente cominciamo a chiamarlo così) sembra volersi porre come alternativa a questa realtà. Oggi, divenuto a tutti gli effetti la prima forza del paese, ritengo necessario approfondire quelle che rappresentano, a mio avviso, dei rischi per la democrazia rappresentativa italiana, cercando di dimostrare come il MoVimento Cinque Stelle non rappresenta e non garantisce una democrazia di qualità.

  •  Non sarà un ordine cronologico, tanto meno di importanza. Ho preso in considerazione alcuni punti che nel tempo Grillo, Casaleggio senior (e poi junior) e direttorio sembrano aver assodato come principi del MoVimento. Partiamo dalla base dunque. Il nome: più base di questo non c’è. L’obiettivo primario qui era quello di evitare volutamente qualunque parola che potesse solo sembrare simile a “partito”. Dopotutto, il M5S (userò questa abbreviazione d’ora in poi) è nato prima come movimento sociale [1] ma ha sempre avuto caratteristiche da gruppo d’interesse. Una su tutte quella di influenzare, anziché limitarsi alla partecipazione, l’arena politica. Nasce da qui il progetto che vede come obiettivo figurato quello di watchdogs ma che ha come più ampio spettro la modifica, la mutazione a vero e proprio attore politico. La cose è semplice: chi si candida con un programma, una struttura adeguata e delle persone preposte a correre per un determinato ruolo ad un elezione (almeno) nazionale va chiamato partito. Il ripudio per la “politica” e i “politici” era così intenso all’inizio del progetto che se pur si voleva diventare esattamente un partito politico, non ci si poteva chiamare tali. Se ci pensate ha del potteriano tutto questo, il partito è “colui che non dev’essere nominato. Non solo dal nome, ma dalla dialettica colorita hanno cominciato a distingersi i pentastellati. Questa idea però gli era già stata fregata dalla Lega quando, inizialmente propostasi come difensore dei diritti dei pochi, dei contadini, dei piccoli artigiani, dei “padani”[2], si dava l’obiettivo di farsi riconoscere per il suo non-politically correct e le sue manifestazioni di intenti. La comunicazione, il riconoscimento di un attore politico nell’era dell’accessibilità, mi riferisco ovviamente ad internet, è fondamentale. In questo caso, ancora una volta, il M5S ha sbagliato. Ha basato tutta, ma proprio tutta, la sua struttura sulla rete. I suoi attivisti, i simpatizzati, gli iscritti insomma, non avevano un posto dove potersi trovare per parlare, per discutere, per litigare. Anche perchè non ce n’era bisogno. Gli iscritti del M5S non parlano, deliberano. Questo è forse il punto più fondamentale. L’dea di ridare il potere ai cittadini (solo quelli che votano M5S però) si è accoppiata con quella di rinnovazione e differenziazione dagli altri attori politici, soprattutto dai partiti. Il web rappresenta proprio questo. Non c’è bisogno di avere la tessera di un partito per dire la propria, non c’è bisogno di riunirsi e discutere su una questione per potersi formare un’idea. Basta aprire il computer, leggere il blog di Beppe Grillo e votare. Ah, e ovviamente dimostrare che non si hanno commesso reati. Perchè l’onestà è la cosa più importante. La politica di tutti. E quindi di nessuno mi verrebbe da aggiungere. Ma ci arriveremo. Il M5S si presenta al paese agli appuntamenti elettorali come quel “partito” che non si chiama partito, con al suo interno “portavoce” anzichè politici, che dà la possibilità di far scegliere tutto ai suoi iscritti, che non ammetteva attivisti che abbiano commesso reati, che non ha una posizione sull’asse politico non è né di destra né di sinistra (quindi cos’è?), che rifiutava modelli tradizionali di partecipazione, informazione, rappresentazione, basti pensare al ripudio (iniziale) di presentarsi in Tv o all’incentivo di smettere di leggere i giornali. Sotto questo punto di vista il M5S è a tutti gli effetti un partito anti-sistema [3]. Il paradosso? Chi ha creato tutto questo non vuole rientrare in questo sistema. Mi spiego, il leader del M5S non ha mai messo piede nell’attività politica, ma ha sempre coordinato tutto. Beppe Grillo non è accountable. Ovvero non è responsabile di quello che fa’. Attenzione, il M5S non è l’unico attore politico che ha deciso di basare la sua struttura in questo modo, Forza Italia (ex Popolo delle libertà, ex…beh Forza Italia stessa) è la stessa identica cosa. Berlusconi, il suo fondatore e leader non è giudicabile dal suo partito. Insomma il M5S, quello che predica partecipazione, una democrazia diretta, che funziona, basata sull’onestà e sull’impegno dei “portavoce” degli italiani, quello che ripudia qualunque altro attore in gioco nell’arena politica perchè corruttibile è un partito autoritario. Tutto sommato la cosa potrebbe anche funzionare, voglio dire il miglior modo per garantire stabilità è dare il potere a solo una persona in modo che questa lo eserciti come vuole, quando vuole. Ma la storia ci insegna che limitare le libertà, in parole povere obbligare qualcuno a fare qualcosa, non è la soluzione. In questo il M5S è tutto il contrario di qualcosa di nuovo.

 

  • Mi verrebbe da dire che il M5S parla bene ma razzola male. Un gruppo di persone decide per la maggioranza, senza che nessuno abbia deciso su cosa debbano decidere, e tanto meno su come possano essere premiati o meno rispetto al loro operato. Le poche idee, i fondamenti, di democrazia all’interno del “direttorio” M5S non sono pervenute. E quelle poche che c’erano beh, ora non ci sono più, mi viene da pensare alle dirette streaming, ai colloqui bilaterali con altre forze politiche, alle attività in piazza. Di fatti, non sono pochi i problemi che la Grillo crew ha dovuto affrontare ultimamente in ordine di epurazione/espulsione dal Movimento. Dopo circa 12 anni anche un componente del M5S è stato accusato di un reato. Cade un costrutto che Grillo stesso ha enfatizzato, il mandato di onestà che sembra essere caduto direttamente dalle mani di Dio ora non vale più niente. La realtà è che il Movimento è strutturato in due modi che sembrano più richiamare non tanto un associazione quanto una setta: ti puoi iscrivere al M5S solo a certe condizioni, le stesse che servono per candidarsi. Sostanzialmente io, voi, chiunque, potrebbe cominciare una campagna elettorale da domani mettendo un Cv in un blog, presentandosi, e partendo col ripetere le stesse identiche cose che direttorio e Grillo scrivono sul blog (unica fonte pura di informazioni). La domanda che dobbiamo farci è: ma quale democrazia ha in mente il M5S? Perchè questa è democrazia diretta, i cittadini si candidano (tutti) e una volta eletti per una carica danno mandato in bianco agli stessi. Un referendum ogni legge, perchè no? Basterebbe chiedere ai cittadini cosa vogliono, e loro lo farebbero. I rischi sono elevatissimi ma soprattutto, non è questa la democrazia che la Costituente ha previsto nel ’46. E comunque non è un modello democratico che può funzionare in un paese composto da Sessanta milioni di persone [4]. Quindi, se decidono tutti, a cosa serve il politico? Quindi chi fa politica non lavora? Quindi di chi è la colpa se si prende una scelta sbagliata? Ovviamente, assumendo che ogni singolo cittadino sia competente e informato su quello che gli viene chiesto. La democrazia rappresentativa è il miglior modo di governare, non quello perfetto, ma il miglior compromesso. Delle persone si candidano a governare o amministrare un ruolo/istituzione. Tutti gli altri scelgono tra i candidati e vince chi ottiene (alla grande, molto alla grande) il maggior numero di consensi. Se questa persona lavora bene, verrà riconfermata, se lavora male, andrà via. I cittadini saranno chiamati a scegliere il candidato, a partecipare alle attività preposte, ad informarsi del loro operato per poterli giudicare. Loro fanno, noi li giudichiamo. E’ il cittadino che decide, sebbene il governante sarà quello che prende le decisioni. Almeno su questo, si pensava a questo punto, dovremmo essere tutti d’accordo, o quanto meno sapere che la prima forza politica del paese vuole modificare il tipo di democrazia vigente in Italia.

 

  • L’ultima cosa di cui vorrei parlare è il comportamento del Gruppo parlamentare da quando nel 2013, il M5S è all’interno delle massime istituzioni nazionali. Entrare nel sistema che si vuole eliminare è il momento più difficile quanto quello più glorioso di quegli attori che hanno come mission la rivoluzione. Il Movimento doveva continuare a tenere la posizione di “diverso” dagli altri anche all’interno dell’emiciclo, ciò vuol dire nessun dialogo, nessuna stretta di mano con nessun’altro, nessun rapporto. Ma la politica non si fa da soli, o meglio, la politica in democrazia non si fa da soli. Ancora una volta, l’impianto autoritario del mondo pentastellato esce allo scoperto. Nei primi mesi di attività parlamentare il gruppo si dota di regole, riunioni, presenta le proprie proposte, ma al di fuori delle normali sedi che possono andare dalle Commissioni alle classiche riunioni informali. Bisognava dimostrare più di tutto non la competenza dei deputati, ma il fatto che si fosse onesti. I rimborsi elettorali depositati alla Camera, il non-dialogo con altre forze politiche e altro ancora rafforzava sì l’immagine, ma non era il lavoro che gli era stato chiesto di fare: rappresentare i cittadini che li avevano eletti. Successivamente, a partire dal 2014, si cominciano a intravedere fasi distensive del Muro di gomma creato da ambo le parti. All’interno di alcune commissioni deputati e senatori del M5S cominciano a collaborare, dare opinioni, appoggiare posizioni al di fuori del loro gruppo, mettersi a disposizione di audizioni, insomma a fare quello che ogni deputato e senatore è chiamato a fare. Sottolineo, con molta fermezza, che quello che il M5S si è proposto di fare, opposizione, non può chiamarsi tale, uno dei punti a mio avviso più dolenti del sistema politico/partitico in Italia è il fatto che dal 1946 non abbiamo avuto una vera e propria opposizione, quindi non solo poca accountability elettorale, in uno stato di diritto che non sempre sembra rientrare in questa dicitura, ma ancora con un accountability interistituzionale inesistente [5]. Opposizione non vuol dire dire no, vuol dire opporsi ad un idea e proporre un alternativa. Alternativa che deve, almeno, poter sembrare realizzabile. Quindi razionalizzata nel contesto vigente. Quindi confrontandosi con gli altri. Non rappresentano l’opposizione perchè sono “altro”, loro non sono politici, loro non sono un partito, loro non fatto “i patti”. La politica non è compromesso, è dialogo. E rifiutarsi di dialogare non vuol dire fare opposizione, vuol dire non sapere come funziona la politica. Fare politica, per “fare” intendo il ruolo di decision-makers / policy-makers, è un mestiere, ed è molto difficile. Perchè non c’è una cosa giusta, c’è la cosa migliore che si può fare cercando di mettere d’accordo i presenti per migliorare la qualità di vita ai cittadini in un determinato sistema istituzionale attraverso determinate procedure. Bisogna conoscere quel sistema, conoscere i canali di dialogo, conoscere le richieste dei cittadini, saper trovare il limite tra compromesso e scelta condivisa. Il M5S, secondo il suo atteggiamento attuale, secondo i suoi movimenti da attore politico, valutando il suo progetto, non è la soluzione. Semmai la deriva.

Il MoVimento Cinque Stelle è l’esempio perfetto di come la società civile nutra sentimenti di sfiducia e disinteresse nella cosa pubblica, e sia così poco matura da scegliere di occuparsene da sola. Mettere in discussione il tipo di democrazia, il governo di un paese è un processo che deve vedere tutti partecipare. Se non abbiamo ancora raggiunto la maturità di metterci in discussione, figuriamoci se abbiamo quella di auto-gestione.

[1] Obiettivo di questa tipologia di corpo intermedio (assieme alla quale va aggiunta quella
di gruppo d’interesse e appunto partito politico) è quello di movimentare i cittadini ad una
partecipazione attiva all’attività politica e disincentivare quella passiva.

[2] Forse non tutti sanno che si potrebbe mettere nel dizionario dei sinonimi e contrari la
Lega alla dicitura di coerenza. Ovvero, nei lontani anni ’90, quando l’Italia era in pieno
processo per entrare nell’euro, e soprattutto quando la Lega era in collisione con la Casa
delle Libertà, era nettamente a favore della moneta unica. Gli slogan che capeggiavano erano
“Il sud non merita l’euro”, “l’Europa finisce sul Po”.

[3] Per anti-sistema intendo quel partito che ripudia il sistema politico ma non solo
all’interno del quale opera e lavora per modificarlo.

[4] Di fatti questa era l’idea iniziale di democrazia sviluppata in Antica Grecia da una
parte, non da tutti tra l’altro, di filosofi ideatori e creatori della democrazia
rappresentativa, non diretta.

[5] Per accountability interistutzionale si intende la responsabilità degli attori politici
fra istituzioni, tra cui è compresa anche “l’opposizione”. Dico dal ’46 in quanto fino al ’92
(Prima Repubblica) il Pci non era eleggibile a causa del contesto internazionale; dal ’92 al
2013 il centro-sinistra era più occupato a spulciare i processi Berlusconi e company che non
ha garantire un’alternativa; dal 2013 a oggi a causa del No su tutta la linea pentastellata.

 



Il testo è scaricabile in Pdf: Cinque errori.

Category: Politica

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